Dopo la presentazione del libro “Il caso Parolisi: sesso, droga, Afghanistan”, evento programmato nell’ambito delle iniziative della prima Critical Weed, ci sentiamo di scrivere due righe sul libro e sull’autore che, molto cortesemente, con grande competenza e altrettanta simpatia, è intervenuto alla presentazione.
Il libro, innanzitutto, non ha nulla di scandalistico come il titolo forse, ma ancor più, il tema trattato potrebbe far supporre: il caso Parolisi è uno scandalo italiano, uno di quelli lungi dall’essere chiuso nonostante la condanna dell’imputato a trent’anni. La materia a prima vista potrebbe far pensare a uno dei soliti espedienti buoni a tenere impegnata l’opinione pubblica, quasi si trattasse di una telenovela, alimentato per vendere giornali ma anche per distogliere da problemi più reali e ben più gravi. Come ci spiega l’autore, in realtà, il libro apre scenari che vanno ben al di là della notizia in sè stessa e della storia del caporal maggiore dell’Esercito Italiano.
Pensare a Parolisi come al protagonista, o comunque come l’unico attore in campo, è un errore che si svela già dalle prime pagine. Questa è una vicenda che travalica l’uomo e si addentra nella storia di una terra e di una cultura, quella afghana, violentata da decenni di guerra, in è cui il narcotraffico, gestito dall’occidente, il vero protagonista. Eroi negativi ce ne sono, ma tra di essi non vi è tanto il Parolisi quanto gli uomini della camorra, e tra le vittime un po’ tutti quelli che da un decennio sono presenti in Afghanistan; in primis i civili, costretti a subire un conflitto non voluto e le cui ragioni storiche non riescono ad occultare la vera ragione di tutte le guerre. Il denaro, qui rappresentato dalla polvere, non quella del deserto afghano, nè quella delle strade delle città sulla quale le persone sono costrette a combattere e morire, è una polvere ben più preziosa quanto carica di significati negativi: “l’eroina”.
Non ha fatto la sua comparsa da molto; nemmeno un decennio nella forma – certo meno pura – in cui in occidente è ben conosciuta; eppure tanto da una parte del mondo quanto dall’altra ha – da subito – cominciato a mietere vittime innocenti e a prima vista insospettabili. E’ sciocco pensare di darle la colpa, in fondo, si tratta solo di una merce – preziosa in quanto proibita – datom che a farlo si rischia di occultare i reali responsabili di morti e malefatte. Da una parte, assistiamo alla parata dei veri responsabili, tanto più potenti quanto più ci si avvicina all’occidente, dall’altra esistono – come già abbiamo detto – le vittime. Che per la società civile afghana la dipendenza da eroina diventasse in brevissimo tempo una piaganon era forse così scontato. Così come – al momento – porvi rimedio costituisce un’impresa ardua senza adeguati strumenti.
Ma accanto a tali vittime ne esistono altre, certo meno conosciute e delle quali non si vorrebbe alcuna notorietà: gli eserciti dei contingenti impegnati nelle missioni militari. L’autore, rende note cifre tutt’altro che scontate, fatte di overdosi e congedi prematuri ormai ammesse anche dai capi di stato maggiore di tutti i contingenti impiegati. Tutti eccetto uno, quello italiano, la cui responsabilità è la terza in ordine di importanza e per estensione del territorio controllato. Eppure nessun accenno a problematiche che ricordano guerre ben più lontane nel tempo ma molto simili sotto diversi aspetti.
L’afghanistan è diventato, dopo la “dittatura” talebana il primo produttore mondiale di oppio, oggi, proprio grazie alla camorra, la raffinazione avviene in loco, con ovvi vantaggi e profitti. Sul finire dei ’60 e gli inizi dei ’70, il sud della Cina ma ancor più Birmania (oggi Myanmar), Laos e Thailandia, costituivano il cosiddetto “Triangolo d’oro”, zona di maggior produzione mondiale di oppio, controllato dalle stesse autorità locali, da storici gruppi etnici che già si dedicavano al commercio, ma soprattutto dal Kuomintang, l’Esercito Nazionalista Cinese che sotto la supervisione e la compiacenza della CIA statunitense alimentava un trafffico i cui proventi dovevano servire ad arginare il dilagare dell’espansione comunista. La guerra, meglio i militari, che allora si sono trovati in una situazione simile a quella dei soldati impiegati in Afghanistan era ovviamente quella del Vietnam.
La situazione cui, oltre 13 anni di conflitto hanno contribuito a creare in Afghanistan ha dato risultati lontani da quelli dischiarati quale obiettivo dei contingenti stranieri impegnati ma forse pur sempre incoffessabilmente voluti. Oggi lo stato regge la propria economia sul narcotraffico, è il primo produttore al mondo di oppio e eroina, che ha invaso territori incontaminati a est tanto da trasformare la Russia di Putin nel primo consumatore mondiale di eroina. La camorra, in tutto questo, gioca un ruolo chiave.
Alessandro De Pascale non è nuovo a inchieste contro la criminalità organizzata nostrana. Nel 2012 ha pubblicato “Telecamorra. Guerra tra clan per il controllo dell’etere” che gli è valso molti riconoscimenti ma anche attenzioni delle quali avrebbe certamente fatto a meno, proprio da parte della camorra. Nonostante ciò, continua a svolgere il suo lavoro di giornalista d’inchiesta, dalle cronache giudiziarie alle tematiche ambientali; a combattere con le armi della professione e la passione per la verità interessi scomodi e macchinazioni che, come nel “Caso Parolisi”, ancora una volta si celano dietro a vicende insospettabili.
Siamo onorati di aver organizzato una presentazione che ci lascia maggiormente consapevoli del fatto che la verità è spesso una ricerca la cui conquista passa attraverso un lavoro attento e scrupoloso, fatto in mezzo alla gente e con piglio professionale ma soprattutto umano.