La modifica del testo unico in materia di sostanze stupefacenti, operata nel 2006 con la legge 49, postula una sostanziale equiparazione delle sostanze che, pertanto, vengono inserite in un’unica tabella assegnando ad esse un presunto effetto simile sia a livello psichico che fisico, in modo indistinto, e cioè che non tiene conto di variabili determinanti quali possono essere : uso, abuso, dipendenza, soggettività dell’individuo, contesto ed età degli utilizzatori. Va da sé come tale scelta risulti conseguenza di quella enfasi bio-riduzionista che considera tale questione mediante il ricorso quasi esclusivo agli approcci tematici delle neuroscienze, permeata di una forte ideologia e assolutamente contrapposta ad un approccio pragmatico fondato sulla riduzione del danno e dei rischi. Questi criteri, al contrario, rifiutano una connotazione ideologica in virtù del fatto che sono alla base dei programmi terapeutici attivi in molti paesi non solo europei e a prescindere dal colore politico della maggioranza che li governa; edificano il loro fondamento su un’etica condivisa del lavoro sociale che mette al centro il soggetto privilegiando l’azione di cura e reinserimento ed assicurando un’esistenza quanto più dignitosa possibile anche durante periodi prolungati di dipendenza cronica o acuta. Tale concezione si contrappone ad una visione di parte basata unicamente su postulati disfunzionali carichi di contraddizioni, i quali, implicitamente, indirizzano a rifiutare e punire comportamenti che non si basano sull’astensione dall’uso e da cui discende l’imperativo morale a sanzionare condotte differenti.
Va notato come da più parti si assista ad una critica diretta contro una certa interpretazione delle recenti scoperte neuroscientifiche, presentate come risultati invocanti ogni spiegazione in merito ai fenomeni non solo di addiction, ma anche di consumo non problematico. La presa di posizione del Dott. Gessa, docente di neuropsicofarmacologia ed ex direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari in merito alle affermazioni del D.p.A. sui rischi del consumo di cannabis è abbastanza recente – non ciò che dice visto che lo fa da circa 5 anni. La nostra prospettiva, al contrario, è incline ad adottare argomentazioni al pari di quelle espresse da personalità del calibro di Peter Cohen, che ha svolto ricerche sul consumo di sostanze all’Università di Amsterdam fin dal 1980 e che contesta non solo i risultati ma anche i presupposti delle tesi neuroscientifiche. Siamo certi, inoltre, che le recenti ricerche sul consumo controllato costituiscano un tentativo coraggioso di proporre un punto di vista che si oppone ad una visione farmacocentrica e alla rinata teoria della dipendenza come malattia che invece riteniamo possa essere inquadrata come sindrome/sintomo specifico in un quadro generale più ampio, della storia e delle cause personali e sociali individuali che determinano il comportamento di una persona. Purtroppo, dobbiamo constatare come le tesi che noi avversiamo interessano anche il mero fenomeno del consumo grazie al varo di norme che accrescono fortemente i danni causati ad ogni tipologia di assuntori. La ricerca, pertanto, va proprio nella direzione di svelare quali siano i risvolti applicativi della normativa attuale sulla detenzione ai fini personali di sostanze stupefacenti ed i conseguenti effetti sui consumatori.
Dal punto di vista legislativo va ricordato come lo stesso testo unico in materia di droghe all’art. 1 c. 15 riporti il seguente: “ogni tre anni, il Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua qualità di Presidente del Comitato nazionale di coordinamento per l’azione antidroga, convoca una conferenza nazionale dei problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope alla quale invita i soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza. Le conclusioni di tali conferenze sono comunicate al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall’esperienza lavorativa”. Senza entrare troppo nel merito dell’ultima conferenza nazionale svoltasi a Trieste nel 2009, va in ogni caso osservato come il Dipartimento per le Politiche Antidroga abbia opportunamente seguito i propri intenti moralisti senza ottemperare alle disposizioni di legge del precedente comma che imponevano di riferire al Parlamento per un’opportuna correzione della legislazione. Si deve sottolineare come proprio in tale ambito (nonché a margine della conferenza al fine di raggiungere un numero più ampio di persone tra cui gli operatori che dissentivano sulle modalità di svolgimento della conferenza stessa) sia stato dato ampio risalto a ricerche svolte da associazioni del settore con la pubblicazione e diffusione del secondo “Libro Bianco sulla Fini Giovanardi”. Forum Droghe, La Società della Ragione e Antigone con tale opera in due edizioni successive facevano un bilancio del periodo di applicazione della normativa antidroga dal 2004 al 2008 e già rilevavano il fallimento della valenza terapeutica della legge, accompagnata dalla amara constatazione del costante aumento di persone in carcere per violazione alla 309/90.
Gli obiettivi iniziali della ricerca sono coerenti con la stesura del “Manuale di Autodifesa sui controlli”, testo critico-formativo in merito alle disposizioni di legge riguardanti pene e sanzioni cui possono incorrere i consumatori di sostanze in Italia.
La ricerca pone in esame l’ex-art. 75 come modificato dalla legge 49/06 al fine di comprenderne i reali effetti sui consumatori. Dopo un’analisi delle caratteristiche dei soggetti segnalati e delle diverse segnalazioni per sostanze si passa allo studio degli esiti dei procedimenti ponendosi quale ulteriore ambito di ricerca la possibilità di desumere alcuni tratti del carattere operativo delle Prefetture prima sul territorio nazionale poi nelle differenti regioni.
Gli obiettivi iniziali della ricerca sono coerenti con la stesura del “Manuale di Autodifesa sui controlli”, testo critico-formativo in merito alle disposizioni di legge riguardanti pene e sanzioni cui possono incorrere i consumatori di sostanze in Italia.
L’aspetto quantitativo della ricerca è stato ricavato dai dati forniti dalle Prefetture-UTG . Titolare dell’elaborazione è il Dipartimento per le Politiche del Personale dell’Amministrazione Civile e per le Risorse Strumentali e Finanziarie, l’ufficio incaricato è la Direzione Centrale per la Documentazione e la Statistica – Ufficio I – Documentazione Generale per i dati relativi agli anni dal 2006 al 2008 compresi. A partire dal 2009, l’incarico è stato svolto dalla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno. L’elaborazione viene pubblicata col titolo “Monitoraggio sull’applicazione dell’art. 75 (sanzioni amministrative)” (codice Istat INT 00053).
In seguito alla prima pubblicazione, che avviene generalmente dopo la prima metà dell’anno successivo al quale il documento fa riferimento, l’aggiornamento dei dati è continuo e non si può ritenere completo se non dopo alcuni anni, sia per la durata di alcuni procedimenti, sia per i tempi di inserimento delle diverse Prefetture. Basandosi unicamente sui primi rapporti di ogni anno, sostanzialmente equidistanti nel tempo e relativi ad una mole di dati simile, è comunque possibile osservarne l’evoluzione in un prestabilito arco di tempo.
La ricerca pone in esame l’ex-art. 75 come modificato dalla legge 49/06 al fine di comprenderne i reali effetti sui consumatori. Dopo un’analisi delle caratteristiche dei soggetti segnalati e delle diverse segnalazioni per sostanze si passa allo studio degli esiti dei procedimenti ponendosi quale ulteriore ambito di ricerca la possibilità di desumere alcuni tratti del carattere operativo delle Prefetture prima sul territorio nazionale, poi nelle differenti regioni.