Un viaggio attraverso un mondo d’ingiustizie, sprechi e verità nascoste
La situazione che concerne le politiche sulle droghe in Italia non sembra voler cambiare, neppure dopo l’uscita in giugno 2011 della relazione scritta dalla “World commission of drug policy”, composta da numerosi politici e tecnici di tutto il mondo che denuncia il fallimento della “war on drugs” sia in termini economici che in termini di promozione della salute. Mentre in altri stati europei e del mondo si stanno tentando azioni alternative, in Italia il proibizionismo è talmente radicato che non viene percepito come una scelta politica, ma come l’unica forma di interevento in relazione all’uso di sostanze; tuttavia in diversi decenni ha prodotto un considerevole aumento della domanda ed il consolidamento di cartelli e narcomafie colluse con i governi occidentali che speculano sulla nostra salute. Intanto i consumatori di sostanze continuano ad essere perseguitati, uccisi dalla brutalità poliziesca, arrestati e limitati nelle loro libertà personali: recentemente Serpelloni, capo del Dipartimento Politiche Antidroga rimasto in carica nell’attuale governo, ha dichiarato che i consumatori di sostanze devono essere trattati alla stregua di malati da curare ed ai quali non deve essere data la possibilità di lavorare e di avere la patente. Ma è davvero così? Il modello medico ed il modello morale descrivono in modo adeguato il fenomeno legato all’uso di sostanze? Esistono modelli alternativi che siano in grado di tenere in considerazione la complessità legata ai comportamenti di assunzione ed il ruolo attivo del consumatore, dei suoi significati e dei contesti in cui usa? Esistono politiche alternative alla repressione, al controllo sociale ed alla medicalizzazione dei consumi?
In occasione della festa della semina di quest’anno abbiamo deciso di dare voce ad una delle tante e troppe vittime del proibizionismo, Giuseppe Nicosia, che ha subito la condanna più pesante per un reato “primo a caso”.
L’autore descrive la sua esperienza carceraria in compagnia di tanti altri uomini soli, privati di dignità e speranze in un presente schiacciato tra uno scomodo passato e un futuro difficile. Arrestato per aver coltivato illegalmente marijuana durante la detenzione vive e indaga quello che dovrebbe essere il recupero dell’individuo che infrange la legge.
Attraverso un diario, scritto da dietro le sbarre, racconta con lucidità cosa accade all’interno di un penitenziario, dipingendo con tratti semplici ed efficaci le personalità e l’umanità di quelli che la società chiama delinquenti.
Questo romanzo è una crudele fotografia che denuncia l’inefficienza e la corruzione di un sistema che sembra non riuscire a sfuggire alla degenerazione civile in atto nella società odierna.
Di alto valore documentaristico sono inoltre le descrizioni delle varie droghe, di cui l’autore spiega dettagliatamente quello che non viene detto: dalla storia agli effetti, fin anche al mercato che hanno alcune di queste, illustrando inoltre nei particolari la coltivazione della marijuana, la preparazione di alcuni derivati e gli usi che si potrebbero fare di questa pianta.