Fonte: Science
Il fattore neurotrofico cerebrale BDNF (Brain-derived neurotrophic factor) è una neurotrofina, particolare famiglia di proteine che determinano la sopravvivenza, lo sviluppo e la funzione dei neuroni. In particolare il BDNF agisce su determinati neuroni del sistema nervoso centrale e del sistema nervoso periferico, contribuendo a sostenere la sopravvivenza dei neuroni già esistenti, e favorendo la crescita e la differenziazione di nuovi neuroni e sinapsi. Nel cervello, è attivo nell’ippocampo, nella corteccia e nel prosencefalo basale: aree vitali per l’apprendimento, la memoria, e il pensiero. Il BDNF riveste di per sé un ruolo importante per la memoria a lungo termine.
Secondo un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università della California, pubblicato sul Journal of Neuroscience, in carenza di BDNF i neuroni perdono la capacità di modulare la loro forza di interconnessione, un tipico segnale d’invecchiamento cerebrale.
Per verificare la correlazione diretta fra BDNF ed età, i ricercatori hanno trattato le sezioni cerebrali di ratti anziani con molecole di sintesi che mimano l’azione della proteina BDNF o favoriscono l’espressione del gene da cui deriva, e hanno verificato che il numero e la forza delle connessioni sinaptiche aumenta, vale a dire il cervello ringiovanisce.
Il fattore neurotrofico cerebrale (BDNF) è quindi un regolatore positivo chiave della plasticità neurale ma è responsabile anche dell’aumentata eccitabilità dei neuroni dopaminergici dell’area ventrale tegmentale (VTA), in particolare del nucleo accumbens (NAC) nel caso di sostanze stimolanti come la cocaina.
In uno studio sui ratti apparso sulla rivista scientifica “Science”, un team di scienziati guidato da Ja Wook Koo della Mount Sinai School of Medicine di New York ha scoperto che nel caso di un’esposizione cronica alla morfina, questa neurotrofina agisce invece in maniera opposta alle sostanze stimolanti.
La soppressione del BDNF nell’area tegmentale ventrale (VTA) ha migliorato la capacità della morfina di aumentare l’eccitabilità dei neuroni della dopamina (DA) e quindi promuovere la ricompensa. Un processo che invece, notoriamente, riduce l’efficacia della cocaina.
Parallelamente, si è notato come attraverso la stimolazione ottica dei terminali dei neuroni dopaminergici della regione cerebrale del nucleus accumbens, si riesca invece ad invertire il normale effetto della Bdnf sulla gratificazione da morfina.
Tali risultati aprono la strada ad ipotesi di meccanismi di azione differenti della morfina e della cocaina nei riguardi dell’aumentata disponibilità di dopamina nel cervello, uno dei neurotrasmettitori deputati alla “costruzione” del piacere e pongono le basi per capire i meccanismi neuroadattivi conseguenti all’abuso di morfina nei circuiti di ricompensa del cervello. Inoltre, gli studiosi hanno identificato i geni che codificano la neurotrofina BDNF e l’ulteriore ipotesi è quella di una base genetica che potrebbe interessare la dipendenza da oppiacei.
Pur rilevando come la chimica del cervello possa essere utile a spiegare i meccanismi d’azione delle sostanze legali o meno, lascia perplessi la continua ricerca di una base genetica che spieghi o condizioni comportamenti la cui natura coinvolge in maniera del tutto marginale il campo delle neuroscienze e che andrebbero invece indagati attraverso un serio approccio multidisciplinare. Un approccio riduttivo, delegato alle sole neuroscienze non potrebbe mai spiegare come il contesto e l’esperienza risultino essere fattori di gran lunga più determinanti nello sviluppo di problematiche di abuso rispetto ai risultati della ricerca genetica.