E’ notizia di questi giorni l’uscita della Relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze 2013 (dati relativi all’anno 2012). Pronta da qualche tempo, ha dovuto attendere l’attribuzione al Presidente del Consiglio Letta della delega alle politiche antidroga perché potesse essere firmata e resa disponibile. Già questo la dice lunga sulle reali intenzioni del governo in merito alle politiche sulle droghe.
Il testo è il solito teatrino di disinformazione redatto da un organismo mangiasoldi come il Dipartimento delle Politiche Antidroga (vedere qui) atto a giustificare gli ormai arcinoti provvedimenti a danno dei consumatori proponendo dati che rilevano un ennesimo, falso, calo dei consumi.
Quest’anno come in quelli passati, le critiche – inascoltate dai governi – arrivano dai tanti addetti al settore e dalle altrettante associazioni che si occupano di problemi legati al consumo di sostanze. Su tutte, quella della Lila, che svela come non esistano dati aggiornati in merito alle patologie correlate, nonostante lo stesso Dpa avesse denunciato una carenza della somministrazione nei Sert dei test per l’hiv. Inconsciamente, lo stesso Dpa rivela un’adeguatezza del sistema dei servizi a contrastare i problemi legati al consumo; carenza che è figlia di un approccio sempre più reazionario delle politiche sulle droghe nel paese.
Le leggi antidroga in Italia non sono state pensate – e la loro applicazione lo rivela chiaramente – per sconfiggere il narcotraffico, ma per accrescere il controllo e la detenzione sociale, termine che ben descrive lo stato delle carceri in Italia. E se questa tesi può sembrare estremista, forse è il caso di leggere cosa succede nella nazione “più democratica” al mondo, dovendo ricordare –pur se superfluo – quanto di ciò che succede negli Stati Uniti tende spesso a ripercuotersi in buona misura anche qui da noi.
Le norme sulla droga non sono assolutamente ispirate a una qualsivoglia tutela delle persone afflitte da problemi di abusi o dipendenze; prova ne è il livellamento tanto delle sostanze, poste in un’unica tabella, quanto dell’approccio ai consumi, visti come tutti ugualmente nocivi. La guerra alla cannabis, attuata con enfasi ormai da anni, è un tassello imprescindibile della strategia di quelle forze reazionarie che ispirano il dipartimento. Non solo perché attraverso un’azione di disinformazione si vuole convincere dell’assoluta nocività di una sostanza che al contrario possiede una buona dose di effetti terapeutici, ma soprattutto perché, essendo la più diffusa, permette di criminalizzare la maggioranza dei consumatori.
A questo, va aggiunta l’insensatezza di una guerra alla riduzione del danno portata avanti mediante proclami dogmatici mai supportati da evidenze scientifiche. Le uniche prove che il dipartimento diffonde sono costituite da un’accurata selezione di studi scientifici o parti di essi che opportunamente fungono da spalla per quella che ormai ha assunto i toni di una vera e propria propaganda, negando una considerevole mole di studi e dati empirici che, al contrario, svelano le qualità terapeutiche della pianta.