“Questo studio mette insieme i dati disponibili per fornire un’analisi completa della produzione di cannabis e dei mercati in tutta l’UE. Esso combina le informazioni da rapporti di routine dell’OEDT – dati sui modelli di diffusione e utilizzo, sequestri, rapporti della polizia, operazioni antidroga, potenza della cannabis e prezzi del mercato al dettaglio – con la letteratura sui mercati della cannabis per creare una approfondita analisi del problema in un contesto europeo”.
Così recita il sommario relativo alla pubblicazione dell’EMCDDA (o OEDT) pubblicato lo scorso 25 giugno dal titolo “Produzione e mercato della Cannabis in Europa”. Abbiamo provato a leggerlo (qui la traduzione delle conclusioni e le tabelle in appendice) e ci sembrava giusto proporre il nostro punto di vista, soprattutto in relazione ad una questione così delicata ed importante qual è l’autoproduzione o produzione domestica di cannabis.
La coltivazione domestica in Italia solo in apparenza è meno soggetta al contrasto delle forze dell’ordine. E’ sicuramente più difficile da individuare per l’estensione ridotta o perché più facilmente occultabile (come nel caso della produzione indoor), inoltre i sequestri risultano essere inferiori in termini quantitativi rispetto a quelli di resina ma non è affatto detto che non coinvolgano un gran numero di coltivatori per uso personale (come del resto associazioni quali ASCIA hanno ampiamente documentato). In realtà, le notizie relative ai sequestri di piante sono fortemente aumentati ed in larga parte si riferiscono a coltivazioni domestiche, quasi sempre estranee al mercato criminale inteso in senso classico (come quello dominato dalle mafie), ma a volte, soprattutto nel caso di coltivazioni importanti potrebbero verosimilmente costituire un mercato parallelo.
Le considerazioni riguardanti un possibile sfruttamento o affiliazione di tali coltivatori al narcotraffico comune sono, perlomeno in Italia, di scarso valore. E’ noto come i traffici che non rientrano nei disegni della criminalità organizzata vengano al massimo utilizzati per coprire quelli mafiosi, attraverso meccanismi di delazione e consegnandoli nelle mani delle forze dell’ordine. Non appare pertanto appropriato, se non in una logica prettamente proibizionista, rilevare tale rischio ed estenderlo alle comunità nelle quali si svolgono le coltivazioni domestiche. Alla luce dell’incremento di tale tipologia di produzione, conseguente ad un aumento generale del consumo – veri indicatori di un’esigenza e di una precisa scelta delle persone nonché della volontà di affrancarsi dal mercato criminale – parrebbe più logico una proposta di regolamentazione della coltivazione piuttosto che la sua criminalizzazione, concedendo maggior spazio alle attività non commerciali e rivolte al consumo personale. La logica e diretta conseguenza dell’autoproduzione è rappresentata da un ovvia ricadute sulla qualità del prodotto. Anche le valutazioni inerenti l’aumento del prezzo dell’erba non tengono in considerazione la necessità di attuazione di una siffatta regolamentazione che produrrebbe un risparmio sicuro nel caso di consumatori che auto producono ma anche nel caso di formule quali le associazioni di consumatori (ad es. i Cannabis Social Club) se realmente non perseguono logiche commerciali. Inoltre, questo sì avrebbe una forte ricaduta sulle comunità, l’autoproduzione e la regolamentazione di un’eventuale produzione commerciale allontanerebbe dalle comunità il pericolo di atti di violenza derivanti dalla criminalità organizzata e non.
Altra critica, non meno importante, che sorge spontanea dalla lettura del rapporto è che si perdano di vista le proprietà intrinseche dell’elemento di analisi, anzi, peggio, non si parta affatto da queste. E’ vero che nel rapporto si fa un timido accenno alle proprietà fisico-chimiche della pianta e di un unico suo derivato, la resina, appunto, ma, pur rimanendo nell’ambito di due soli prodotti non si fa riferimento all’utilizzo terapeutico dei suoi principi attivi pur dovendo (forse loro malgrado) ricordare l’importanza del rapporto tra i differenti cannabinoidi in merito alla salute dei consumatori per uso “ludico” e l’importante valore antipsicotico (nuovamente ribadito da recenti ed autorevoli studi) del cannabidiolo. Varrebbe la pena sottolineare l’importanza della disponibilità di un farmaco per un malato, del valore automedicante che la cannabis assume presso consumatori che erroneamente ed in maniera del tutto parziale vengono definiti “ludici” e proprio perché tale disponibilità è limitata se non resa impossibile dalle leggi attualmente in vigore, domandarsi in che misura tale aspetto indissolubile della pianta possa interessare una discussione incentrata sul traffico e la conseguente comparsa della coltivazione domestica.
Il rapporto, non soltanto appare fortemente lacunoso e contradditorio, in genere e in molti passaggi, come ad esempio nel caso delle stime sulla produzione di resina e la provenienza della stessa. In maniera molto coraggiosa ciò è costantemente ribadito dagli stessi autori che ravvisano la necessità di correzioni analitiche e metodologiche ma soprattutto premono sulla coscienza delle nazioni europeee per una maggiore e coerente disponibilità di dati. Ma facendo ciò non si accorgono dell’errore di fondo (forse timidamente accennato nel caso dei recenti cambiamenti della politica in Olanda) costituito dalla volontà di indagare un aspetto assolutamente diffuso qual è il consumo di cannabis senza mettere in risalto che il primo scoglio da rimuovere sono le politiche proibizioniste e i conseguenti flussi di denaro sommerso che esse generano e che esprimono l’intima natura protezionistica del narcotraffico e quindi l’impossibilità di giungere a rilevare dati certi. Di più, come lo stesso rapporto rileva, l’effetto del contrasto al traffico, che sempre più spesso si rivolge al solo consumo, esaspera il carattere dinamico del mercato della cannabis, aumentandone la complessità e la possibilità di ottenere delle informazioni stabili nel tempo.
Piuttosto, progredire verso una decriminalizzazione completa dell’uso potrebbe maggiormente giovare alla rilevazione di informazioni che non il ricorso alle risorse di intelligence, l’adozione di strumenti forensi e database centralizzati. Ciò è vero soprattutto nel contrasto alle attività criminali organizzate preservando comportamenti oggi ritenuti illegali ma che risultano distanti da quest’ultimi, anzi, spesso vi si oppongono e volentieri ne farebbero a meno.
“Ogni anno in Europa vengono sequestrate 700 tonnellate di cannabis, 600 delle quali riguardano la resina. Oltre 78 milioni di europei fra i 15 e i 64 anni hanno provato la cannabis, 22 milioni l’hanno usata nell’ultimo anno e circa 9 milioni di persone fra i 15 e i 34 anni l’hanno usata nell’ultimo mese”.
Luglio 6th, 2012 at 23:10
[…] Fonte: Infoshock Torino […]