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La ripresa dei movimenti antiproibizionisti

Fonte: Nuova Società

di Paolo Sollecito

Questo articolo esce dopo i fatti di Cusano (le cariche, gli arresti e una ragazza di 22 anni in coma) ma l’intervista è stata fatta precedentemente. Non si parla di questi eventi solo per un motivo temporale e non per una scelta della testata o dell’intervistato.

La prima persona che incontriamo nella nostra inchiesta sulle sostanze è Franco D’Agata, psicologo e psicoterapeuta della “Gestalt” (corrente che nacque e si sviluppò in Germania agli inizi del XX secolo). D’Agata lavora anche in un progetto di educativa di strada con i giovani del quartiere Castello di Nichelino ed è un militante antiproibizionista del “Centro Sociale Gabrio”, gruppo da sempre attivo nell’ambito dei diritti dei consumatori di sostanze.

A molti sembrerà difficile conciliare il ruolo di psicoterapeuta che aiuta le persone con problemi legati alle dipendenze con quello di attivista che si batte per la legalizzazione delle sostanze. E’ una contraddizione o le due cose sono legate?

Gli obiettivi del Gabrio come “Sportello Infoshock” e come “Rete 2012, la Fine del Mondo Proibizionista”, riguardano rivendicazioni politiche, ma non facciamo solo questo. Portiamo avanti anche pratiche che riteniamo adeguate per far fronte all’aumento dei consumi. Noi sosteniamo attivamente le politiche di “prevenzione” e di “riduzione del danno”. Come vedi tutto si lega direttamente con il mio lavoro, i due ruoli sono tutt’altro che incociliabili

Ma cosa vi spinge a fare un lavoro che, sulla carta, dovrebbero fare i servizi sociali?

Infatti i servizi non lo fanno o solo in minima parte. Guarda, se le politiche internazionali sulle droghe si basano sui quattro pilastri: prevenzione, cura, riduzione del danno, repressione. Di fatto in Italia la forma di intervento che assorbe i tre quarti degli investimenti è la repressione. Lo stato investe dieci centesimi di euro per abitante in prevenzione, una cifra ridicola se paragonata alla media europea. Noi alla luce di questa cosa pensiamo invece che la prevenzione e la riduzione del danno non debbano essere legate a forme di controllo sociale, ma agite nel rispetto delle scelte individuali e con interventi diretti nei luoghi di consumo

Quindi pensi che con una maggiore consapevolezza diminuiscano i consumi?

Accetto la provocazione, ma le cose non sono così meccaniche. Se cambia il contesto sociale, se cambiano i modelli culturali che sono alla base della nostro vivere, se il consumatore non viene più visto come un malato o come un criminale, allora da un lato la società si renderebbe più accogliente e inclusiva e dall’altro il consumatore non si sentirebbe una vittima. Questo si rifletterebbe anche sul modo di consumare

Voi fate iniziative come la “feste della semina” o del “raccolto” che partono da azioni considerate illegali, almeno in Italia. Come vi rapportate alla cultura della legalità che imperversa anche nel mondo della sinistra parlamentare?

Ed è proprio questa cultura della legalità che causa fenomeni come il narcotraffico globalizzato e a questo noi contrapponiamo un modello di condivisione e di autoproduzione delle piante proprio per rompere gli schemi del mercato dello spaccio Continue reading