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#quellerbaèanchemia – La campagna

quellerbaeanchemia_bigLa campagna #quellerbaèanchemia è promossa dal C.S.O.A. Gabrio di Torino a seguito dell’indegna irruzione nello spazio agita da parte delle Forze dell’Ordine lo scorso agosto e ha già ricevuto l’adesione di decine di realtà sociali, occupate e autogestite, che ormai da anni animano le lotte antiproibizioniste, definendo un ordine del discorso alternativo a quello prodotto dalle istituzioni in tema di consumo di sostanze psicoattive.
Non ci stupisce che, con l’intento di colpire e delegittimare il lavoro fondamentale di spazi sociali come il Gabrio, si ricorra a becere operazioni poliziesche che utilizzano in maniera strumentale e del tutto sradicata dal reale il reato di spaccio.
Noi stiamo dalla parte di chi promuove una nuova cultura relativa all’uso e consumo di sostanze, noI siamo quelli che lottano contro il proibizionismo che arricchisce le tasche delle narcomafie, noi stiamo dalla parte degli spazi sociali occupati e autogestiti.

Tutta la nostra solidarietà va ai compagni e alle compagne del C.S.O.A. Gabrio ed a tutte le consumatrici ed i consumatori …

… perché di CANNABIS non si muore ma di PROIBIZIONISMO si.

Con Stefano Cucchi nel cuore!

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Quell’erba è anche mia – campagna

quellerbaeanchemiaIl 18 agosto la squadra mobile ha fatto irruzione nei locali del centro sociale Gabrio sequestrando 80 piante, la strumentazione per la coltivazione (vasi, lampade e ventilatori) e denunciando i due compagni presenti.

Il giorno seguente i media riportano la notizia come di una “scoperta”, parlando di “spaccio” e di “traffico” ignorando completamente la storia, ormai ventennale, della lotta del centro sociale Gabrio per il riconoscimento dei diritti dei consumatori di sostanze in Italia.

Infatti, in coerenza con quanto dichiarato nella prima manifestazione antiproibizionista di Torino il 16 novembre 1996, noi iniziammo ad autoprodurre marijuana per condividerla attraverso feste e iniziative antiproibizioniste. Già nel 1999 abbiamo subito perquisizioni e processi finiti con la piena assoluzione dei compagni coinvolti.

Il ripetersi oggi di una inchiesta sulle lotte antiproibizioniste non è casuale dato che, proprio in questi mesi, è in discussione in parlamento una proposta di legge che dovrebbe mettere fine alle fallimentari politiche proibizioniste, riconoscendo il diritto al consumo e alla produzione della canapa. Legge richiesta dalla commissione europea: diversi stati dell’unione hanno infatti già legiferato in tal senso mentre, ancora una volta, il nostro paese è il fanalino di coda nella garanzia dei diritti personali come di recente successo nel dibattito sulle unioni civili.

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Sul blitz del 18 Agosto al Gabrio…

img_0167Dopo il blitz del 18 Agosto al Gabrio, che ha portato al sequestro di alcune piante di cannabis e alla denuncia di due compagni al momento presenti all’interno del centro, sono necessarie alcune riflessioni.

L’autoproduzione è un percorso politico che pratichiamo e rivendichiamo da più di 16 anni allo scopo di superare l’ipocrisia del modello proibizionista vigente che da un lato criminalizza le sostanze non facendo educazione e prevenzione, e dall’altro permette a organizzazioni criminali di venderle, contribuendo a far crescere il mostro del narcotraffico. Se oggi siamo uno dei Paesi del mondo dove la percezione di corruzione è tra le più alte, lo dobbiamo anche alla presenza nel nostro territorio di solidi cartelli che dallo spaccio di droghe ricavano quella liquidità a loro necessaria per comprare amministratori e dipendenti pubblici compiacenti.. Quelle stesse mafie che infiltrandosi poi tra appalti e progetti lucrano su disgrazie ed emergenze dirottando nelle proprie casse ingenti quantità di denaro pubblico. Nonostante i cospicui investimenti fatti per contrastare il fenomeno, si parla di circa 1,5 miliardi di euro ogni anno, il mercato nero delle sostanze sembra più florido che mai con sempre più droghe sconosciute e pericolose che inondano le piazze di vendita: i dati esposti nell’ultimo libro bianco sulle droghe  confermano anche quest’anno la tendenza che con l’attuale legislazione ad andare in galera siano di fatto assuntori e piccoli spacciatori, principalmente di cannabis in quanto sostanza il cui uso è prevalente. Ed effettivamente ogni anno appena arriva l’estate scatta l’assurda caccia alle streghe nei confronti di chi si cimenta nella per altro non difficile e ormai diffusa pratica della coltivazione di cannabis. E visto che tale pratica, nei secoli appannaggio dell’umanità, è oggi considerata reato penale in quanto, a detta del legislatore, in grado di aumentare le scorte di sostanze stupefacenti presenti sul territorio, si finisce nella rete proibizionista e senza una valida difesa si rischia una condanna fino a 6 anni di carcere indipendentemente dal fatto che la condotta possa essere finalizzata al lucro piuttosto che all’uso personale. In questo panorama, ed anche in peggiori nel passato in cui la Fini/Giovanardi prevedeva fino a 20 anni di carcere, decidere di coltivare cannabis in condivisione e no profit è stata per noi una provocazione che rappresentava un tentativo di sottrarsi a questo ricatto proibizionista: le feste del raccolto e della semina sono in quartiere momenti liberati, dove al mercato e alle piazze di spaccio si sostituisce la condivisione e l’autoproduzione, modelli che negli anni abbiamo sempre rivendicato come possibili alternative nonostante l’indifferenza di buona parte della politica. Continue reading


Proibizionismo d’agosto: di “laboratori della droga” e muri sfondati

muro-sfondato-poliziaDi prima mattina il quartiere San Paolo si è risvegliato con un’intero isolato militarizzato, cinque camionette di carabinieri e polizia, gazzelle e auto della digos hanno chiuso l’accesso di via Millio per procedere a una solerte operazione volta alla perquisizione del Centro Sociale Gabrio. Decine di uomini in uniforme sono penetrati nel centro sfondando tutte le porte, rovistando in ogni stanza e addirittura sfondando un muro per accedere ai locali informatici.

L’obiettivo è stato mettere sotto accusa una delle pratiche militanti del centro sociale, l’antiproibizionismo. Sono state infatti sequestrate le piante di marijuana presenti nel centro e gli strumenti per la loro coltivazione. Attività che da anni portiamo avanti apertamente. Siamo consapevoli che praticare coerentemente l’antiproibizionismo significa disobbedire a leggi ingiuste così come sappiamo che tale pratica può portare ad affrontare forme di repressione come quella adottata questa mattina dal reparto mobile della questura di Torino con l’avallo della procura. Siamo d’altronde sicuri che l’autoproduzione sia l’unico sistema per scardinare il sistema delle narcomafie da un lato e del controllo sociale oscurantista dall’altro. L’autoproduzione è condivisione, non spaccio.vetro-rotto-polizia

E’ stata certamente anche una buona occasione per la questura per mettere il naso nei locali dove si svolgono le numerose attività politiche e sociali del centro.

Nella giornata in cui i principali mezzi di stampa rilanciano le dichiarazioni del magistrato Cantone sull’importanza e la necessità di legalizzare la cannabis per evitare il gioco delle narcomafie è a dir poco paradossale che la procura e la questura di Torino si lancino in una operazione che va a colpire una delle poche esperienze reali in tale direzione. Noi lo sappiamo da anni, non abbiamo bisogno di un magistrato per capirlo.
Il risultato è che nel momento in cui scriviamo un compagno è in questura e un’altro è denunciato a piede libero, compagni ai quali va tutta la vicinanza, amicizia, complicità.

Tutte le attività del centro sociale programmate in questi giorni continueranno regolarmente.

Le compagne e i compagni del CSOA Gabrio


Considerazioni sul raccolto

Le ultime due settimane di Novembre hanno visto la partecipare più di 8000 persone alle feste del raccolto organizzate dal Terra di Nessuno di Genova e dal Gabrio di Torino. La sinergia tra le due realtà antagoniste in collaborazione con i PIC (pazienti impazienti cannabis) ci ha permesso  di promuovere un confronto rispetto al modello dei Cannabis Social Club,  avviati da tempo in alcuni Stati, tra cui Spagna, Belgio, Olanda, Nuova Zelanda, Germania e Slovenia. Hectors Brotons (avvocato della FAC, lega dei CSC spagnoli) e Joep Oomen (coordinatore di ENCOD) ci hanno raccontato i percorsi che hanno dato vita a queste esperienze  che tuttora cercano riconoscimento nei rispettivi Paesi. Lo spirito che caratterizza i CSC è quello della condivisione: gruppi di consumatori che invece di rivolgersi al mercato nero per procurarsi la sostanza decidono di costituirsi in una forma associativa, mettendo insieme le risorse necessarie per coltivare e dividendosi successivamente il raccolto, in base alle loro rispettive esigenze ed in ogni caso senza nessuno scopo di lucro. Chiaramente questo modello è in grado di fare uscire le sostanze dal mercato, contrastando il fenomeno globalizzato del narcotraffico prodotto da anni di politiche  proibizioniste e dalla cosiddetta cultura della legalità: oggi ci troviamo di fronte all’assurdo paradosso di dover promuovere un atto considerato illegale, quello della coltivazione ad uso personale, per fare fronte agli ingenti danni arrecati alla società proprio da chi si dovrebbe invece preoccupare di tutelare la nostra salute! Mafia e criminalità, carcere, pestaggi controllo sociale, limitazioni delle libertà personali di chi usa sostanze, medicalizzazione dei consumi, sono infatti le terribili conseguenze di politiche fallimentari che i potenti si ostinano a portare avanti nonostante le evidenze scientifiche. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla cultura veicolata dalle leggi e dalle convenzioni internazionali in materia di sostanze stupefacenti: chi consuma ancora oggi si nasconde, pensa più a non farsi beccare che a non farsi male e  crede che lo spaccio sia l’unico strumento per disporre di una droga. Non ci stupiamo che queste dinamiche siamo fortemente presenti negli eventi che organizziamo, perfino durante il raccolto tanti e tante arrivano ancora con la convinzione di pagare per avere in cambio qualcosa da fumare, nonostante ogni anno ribadiamo in tutti i modi possibili che non è lo spirito che lo caratterizza, e che la festa si pone proprio in antitesi allo spaccio. Questa forte contraddizione ci porta a considerare che difficilmente questa barriera culturale possa essere superata se non vengono proposti dal basso  modelli e  pratiche che siano in grado da fare assumere altri punti di vista, propedeutici ad un cambiamento radicale. Pertanto crediamo che le feste del raccolto e della semina vadano attraversate e superate, ed i nostri prossimi passi andranno nella direzione di un avvicinamento ai cannabis club, consapevoli del fatto che non potranno mai partire da aperture legislative, ma assumendosi dei rischi, come le esperienze internazionali ci suggeriscono. A questo proposito un gruppo di avvocati di diversi territori si è dato disponibile a sostenere questo tipo di percorso  e  per noi è un buon presupposto per intraprenderlo. Stay tuned!

 

CSOA GABRIO & CSOA TERRA DI NESSUNO


Una storia di ordinaria follia

Nella Milano che brulica di locali notturni, club e discoteche alla vigilia della festa commerciale di Halloween,  un evento inaspettato invade la periferia sud della città nel week end: il rave party organizzato dagli Hazard per festeggiare i loro dieci anni in collaborazione con i francesi Nonem ed altre due sound. L’avventura comincia venerdì sera quando il tentativo di piazzarsi in un capannone nel bergamasco viene scoperto dai carabinieri che intervengono denunciando a piede libero 26 persone, bloccando l’evento e scortando la carovana fino al casello autostradale. Un secondo tentativo da parte degli organizzatori viene fatto in piena notte a Limbiate nei pressi di Milano, ma le forze dell’ordine ormai sulle tracce del rave, riescono nuovamente a mandare via tutti. Si decide allora di entrare nella periferia della città, nei pressi di Viale Europa, dove c’è un ex deposito della Standa oramai dismesso. Le sound riescono a montare gli impianti, prendono accordi con un funzionario di polizia che gli assicura li avrebbero fatti suonare fino a domenica e la festa ha inizio. Ma qualcosa non va. Improvvisamente verso le 21.00 di sabato  la presenza di polizia e carabinieri nel posto si fa più massiccia, si bloccano gli accessi ed arriva la celere con i vigili del fuoco che buttano giù le reti esterne dello stabile per permettere agli agenti in tenuta antisommossa di entrare per sgomberare. A questo punto iniziano i pestaggi a cui ormai purtroppo siamo abituati, partono i lacrimogeni e volano manganellate, il cane di una ragazza viene ammazzatoo, una violenza senza senso ed ingiustificata che costringe i ravers ad organizzare una qualche forma di resistenza con i pochi mezzi che avevano a diposizione. Il bilancio della fantastica operazione della questura è di 50 feriti, numerosi fermi ed una ragazza di Cuneo in coma perché travolta mentre tentava di scappare  inseguita dagli agenti: bel risultato se si considera che il blitz era stato ordinato dal Dipartimento Politiche Antidroga della presidenza del consiglio dei ministri che aveva segnalato preventivamente la “pericolosità” dell’evento pensando  di poter tutelare in questo modo la salute dei partecipanti al rave!   La festa è stata sgomberata, vengono sequestrati impianti ed alcuni furgoni, ed arrestate quattro persone.

Ovviamente la polizia e  i media ribaltano lo scenario raccontando che gli agenti hanno reagito alle provocazioni, secondo un copione ben noto. Il questore di Milano Luigi Savina – in verità affatto nuovo a coordinare simili azioni – ha espresso dispiacere per l’accaduto difendendo l’operato degli agenti che comanda; il SIAP (Sindacato Italiano Agenti Polizia), attraverso il suo segretario Enzo delle Cave, ha preso posizione sull’accaduto definendo una “scelta irresponsabile e pericolosa sia per gli esiti avuti che per il rischio che qualcuno ci lasciasse la vita” la decisione di procedere allo sgombero del capannone con tutte quelle persone (1700 circa)  e ricorrendo all’uso della forza.

Va inoltre rilevato come le ambulanze, fatte giungere sul posto contemporaneamente alle squadre dei vigili del fuoco, non siano state fatte entrare a supporto delle persone ferite costringendole a percorrere diverse centinaia di metri prima di essere soccorse, ma chiaramente allertate perché già nota la condotta che si voleva tenere.

L’episodio si commenta da sé e  svela come per l’ennesima volta l’unica risposta che questo Stato riesce a dare a tutto ciò che non riesce a normare e a mettere a valore è l’azione repressiva; in una regione quale la Lombardia che ha visto scomparire negli ultimi anni la maggioranza dei servizi di bassa soglia e di riduzione del danno.

Come collettivo, impegnato sul fronte della limitazione dei rischi in occasione di eventi informali, crediamo sia doveroso che i responsabili di un’azione tanto scellerata da potersi trasformare in un massacro non passino impuniti, e che ci sia un ferma condanna da parte di tutte quelle persone che ancora si considerano un pezzo importante della “società civile” su un uso inutile e sconsiderato della forza pubblica. Che media e istituzioni non rivolgano il proprio appoggio e solidarietà sempre e solo alle forze di polizia impegnate in un’operazione che soltanto le sconsiderate decisioni dei rispettivi superiori hanno messo in pericolo, rivolgendo inoltre un’ulteriore attenzione repressiva nei confronti degli organizzatori dell’evento, ennesime vittime della brutalità ingiustificata.

Esprimiamo solidarietà alle sound coinvolte che sappiamo impegnate a favore della presenza di equipe di limitazione dei rischi ai propri eventi, prova di una coscienza ben superiore a quella dimostrata dalle forze dell’ordine. Alla stessa equipe bolognese presente all’evento, che da anni lavora in contesti informali facendosi carico in maniera totalmente autorganizzata di una risposta efficace che le istituzioni troppo spesso non sono in grado di garantire poiché antepongono un supposto aspetto legalitario a svantaggio del diritto alla salute delle persone. Pensiamo fermamente che sia giunto il momento di dare  altri tipi di risposte ai fenomeni sociali , che nascano da un reale interesse per gli stessi e che ne sappiano affrontare la complessità. In ultimo – ma per questo non meno importante – rivolgiamo il nostro pensiero alla ragazza ventiduenne di Cuneo che sta lottando per la vita e di cui non conosciamo nemmeno il nome, vittima di politiche inefficaci e distanti dai problemi sociali nonché di un corpo di polizia che ha dimostrato ancora una volta inateguatezza ed insensatezza ad essere impiegato nel fronteggiare ogni istanza sociale dal basso.