L’assurdo pervade le menti dei controllori al punto tale da trasformare una giornata di musica in una “insensata” mattanza. Ma è davvero sconsiderata l’azione violenta guidata dal questore di Milano alla festa a Cusago? Per noi tutti non v’è dubbio: anteporre sempre e solo la repressione ad altre politiche possibili non costituisce un atto di devianza ma la regola imposta da un sistema al quale le feste si oppongono. Pacificamente, attraverso una piena di socialità dissacrante e liberatoria che non solo crea un momento transitorio di condivisione di vedute non omologate ma che al contempo contribuisce a diffondere e sostenere. Questa è la motivazione che spinge “chi sta dall’altra parte” – quella fatta di discoteche e musica commerciale, di fabbriche fallite e dismesse perché la produzione debba continuamente sottostare alla regola del massimo profitto e case abbandonate perché se ne possano vendere di nuove e sempre più care – a reprimere e criminalizzare masse di giovani stanchi di un sistema che prevarica sulle nostre vite e i nostri destini. E’ pericoloso che si esista, lo è ancor più quando si agisce, si costituisce una taz, ci si riunisce con un passaparola e ci si diverte. Il tutto senza che “loro” possano sfruttare questa cosa per fini economici, e non importa che la produzione di senso e di valore sia immensamente maggiore dei loro soldi.
Spesso chi va a una festa non comprende appieno le motivazioni che spingono gli organizzatori ad un duro lavoro di costruzione dell’evento. Altri, continuando ad andarci, poco a poco vengono contagiati dall’atmosfera che emanano. Non è importante che tutti vi partecipino perché da subito riconoscono in questa forma un modo per spezzare le catene di un quotidiano che ci aliena. La cosa importante è che tutto ciò possa esistere, si diffonda e possa continuare ad alimentare un pensiero naturale che privilegia le persone e non l’interesse.
E’ arrivato il momento di costituire un fronte comune contro i nemici che dentro e fuori dalle feste rischiano di farsi sempre più forti. A partire da chi le comprende solo come un’occasione per consumare sostanze alimentandone la spettacolarizzazione senza accorgersi di accrescere un modello di consumo che vuole le droghe elevarsi al livello di mito così da poterne sfruttare le potenzialità di controllo e di guadagno. Così come lanciare un messaggio chiaro e concreto a chi invece si è accorto della pericolosità delle feste perché portatrici di una cultura alternativa, slegata dalle logiche di controllo e dalla possibilità di trarne degli utili.
Manifestare assume significati propri del rifiuto alle logiche imposte dal dipartimento delle politiche antidroga, fautore delle politiche repressive e di incarcerazione dei consumatori di sostanze, colpevole di una cultura stigmatizzante che assimila danni permanenti e malattie mentali a condotte non allineate. Da trattare, mai da comprendere, attraverso pratiche che premiano le lobby farmaceutiche invece di considerare il reale benessere delle persone.
I concetti antiproibizionisti sono un antidoto ad un ‘pensiero dominante che agisce sulle persone e mai con le persone. Ciò che spesso si associa alla lotta che portiamo avanti è l’errata convinzione che l’obiettivo che si vorrebbe perseguire sia una mera liberalizzazione delle sostanze, pur nella giusta convinzione che una libera scelta individuale debba guidare l’operato del singolo. Ad un occhio attento ed interessato la realtà assume significati ben più complessi, dei quali le tematiche relative alle droghe costituiscono solo una faccia di un prisma e in cui le rimanenti rappresentano piani di intervento altrettanto fondamentali.
Non è possibile, oggi, spingere per un riconoscimento dell’importanza delle libertà individuali senza farsi carico delle cause che le schiacciano. Chiunque si proponga di opporsi sensatamente al proibizionismo non può non rilevare come tale rifiuto coinvolga concetti apparentemente distanti quali controllo sociale, sanzioni, carcere, normalizzazione dei comportamenti, medicalizzazione dei consumatori, sfruttamento di una moltitudine di persone per i fini economici di pochi. E potremmo continuare con l’elenco perché spesso del prisma conosciamo nuove facce nel momento stesso in cui ci coinvolgono e perché tali piani compromettono le persone in maniera differente a seconda delle loro condotte, del ceto cui appartengono ma anche delle latitudini a cui vivono.
Il contadino afghano costretto a cedere le proprie figlie quale pagamento del mancato raccolto di cui aveva già percepito gli utili è altrettanto vittima di un migrante che viene coinvolto nello spaccio al dettaglio in un paese industrializzato che non prevede l’utilizzo di adeguate risorse e garantisce diritti necessari per condurre una vita dignitosa. Ripercorrendo a ritroso la via che porta le sostanze dai luoghi di produzione a quelli di consumo si palesa un sistema di violenza del quale il proibizionismo ne è il paradigma. Coloro i quali si ergono a difesa di supposti principi etici, secondo cui le proibizioni costituiscono l’espressione della tutela della vita delle persone, non possono oggi non accorgersi di quanto la realtà contraddica tale opinione. Ma se da un lato esistono persone prigioniere delle proprie gabbie mentali, dall’altro c’è chi cosciente delle conseguenze generate ne è non solo autore, al pari dei primi, ma ne sfrutta gli effetti per estendere ed acquisire potere sugli altri.
L’antiproibizionismo è la pratica che si oppone a tutto questo e lo fa attraverso azioni diversificate ma il cui scopo è quello di preservare le libertà individuali. Da ciò derivano le scelte di attuazione degli interventi di riduzione del danno e limitazione dei rischi, in una visione paradigmatica di tali approcci, fondati su di un reale rispetto della condizione della persona e sostituendo il concetto di salute, troppo legato alle gabbie della medicalizzazione, con quello di benessere che sostiene la volontà e le scelte della persona senza ricondurle ad un modello brutale e stereotipato. Poiché solo tracciando un margine si origina la devianza che assume significato unicamente se la si riconduce alla produzione di un pensiero unico, nemico delle libertà e schiavo del modello di produzione imposto. Leggi apposite, sanzioni e istituti di pena completano l’opera fungendo da strumenti di controllo e discarica sociale, degni compagni di quell’approccio sanitario che impone la cura a coloro i quali deviano dalle regole imposte.
L’Antipro è una pratica di libertà che sostiene differenti modi di esprimersi e di intendere le esistenze nel rispetto dei diritti e della dignità di tutti e tutte.
Free Xpression against Repression