Da street parade a happening

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Fonte: Il Manifesto – Alessandro De Pascale

Anche in que­sto 2015, con­tem­po­ra­nea­mente in circa 700 città del mondo torna l’annuale appun­ta­mento mon­diale anti­proi­bi­zio­ni­sta della Mil­lion Mari­juana March. L’edizione ita­liana, la 15esima, è in pro­gramma oggi,  sabato 9 mag­gio,  a Roma, a par­tire dalle ore 13, alla Città dell’altra eco­no­mia. La prima novità di quest’anno è pro­prio l’abbandono, gli orga­niz­za­tori ci ten­gono a spe­ci­fi­care «almeno per ora», della mani­fe­sta­zione in stile “street parade” per pas­sare ad una moda­lità stan­ziale, in una grande villa comu­nale. L’obiettivo di que­sta scelta è «impe­dire l’imperversare dei dipen­denti della camorra, che scor­raz­zano con i loro car­relli, bagna­role e ombrel­lini, ven­dendo bibite e altro, ma anche dei loro col­le­ghi afri­cani, che si aggi­rano espo­nendo grandi buste di erba in ven­dita, sem­pre di ori­gine nar­co­ma­fiosa, impos­si­bili da argi­nare in una mani­fe­sta­zione di decine di migliaia di per­sone dan­zanti tra i camion in movimento».

Nono­stante si chiami March (mar­cia), prima di Roma ave­vano già optato per que­sta scelta città come Lon­dra e Amster­dam, oppure l’Australia. Gli orga­niz­za­tori dell’edizione ita­liana vedono del resto come un «con­tro­senso fare un’iniziativa con­tro il sistema se poi den­tro ci ritro­viamo il sistema». Ed è dif­fi­cile dar­gli torto. Secondo motivo alla base delle scelta, unire la parte mani­fe­sta­zione, spet­ta­colo e musica a quella dei con­te­nuti, come i semi­nari e col­le­ga­menti video, «per­ché non siamo con­vinti che tutto il popolo anela alla col­ti­va­zione sia con­sa­pe­vole del rischio che corre in que­sta fase». Tema cen­trale di quest’anno, l’interesse dei mer­cati per la lega­liz­za­zione delle dro­ghe leggere.

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Canapisa 2015 – Manifestazione Nazionale Antiproibizionista

Canapisa 2015PISA – SABATO 23 MAGGIO 2015 – Ore 16:00, Piazza Sant’Antonio
*** APPELLO ***

Con la cancellazione per illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, è rientrata in vigore la precedente normativa del 1990, la Jervolino-Vassali.

Dopo mezzo secolo di escalation proibizionista, la legge Fini-Giovanardi (dal 2006 al 2014) aveva rappresentato un ulteriore inasprimento delle politiche antidroga e la sua cancellazione fa rivivere le politiche architettate per il contesto culturale degli anni 80-90. Ma dagli anni novanta ad oggi la diffusione delle sostanze è aumentata e non riguarda più solo quei soggetti considerati marginali.

Gli unici ad affermare il contrario sono i rappresentanti del Dipartimento Politiche Antidroga (DPA), organismo istituito ad Hoc nel 2006 dalla legge appena dichiarata incostituzionale e che rimane inspiegabilmente ancora in piedi. Quest’apparato politico travestito da istituto scientifico pretende di dettare la verità assoluta sulle droghe e con i suoi poteri straordinari , conferitigli da una delega governativa, rappresenta il maggior nemico alla liberazione della canapa ed ad un approccio pragmatico, sensato e socialmente condiviso delle politiche sulle droghe. Dai suoi annunci traspare con chiarezza l’intenzione di perseverare con la linea ultra proibizionista contro i drogati, fondata su concetti come la deterrenza, la repressione, le cure forzate.

L’attuale programma del DPA considera quella delle droghe una questione esclusivamente medica e criminale e promuove l’uso delle droghe legali, come gli psicofarmaci, per “curare” con la forza i drogati.

Da anni ormai il movimento antiproibizionista denuncia l’inutilità e i danni delle politiche repressive contro le persone che usano sostanze, arrivando a parlare di una vera e propria “questione proibizionismo”, in quanto molti dei problemi provenienti dal fenomeno dell’uso di droghe sono da ricondurre principalmente alle politiche antidroga stesse. Continue reading


Million Marijuana March 2015: Cannabis Bene Comune

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Fonte: Million Marijuana March

La lunga MARCIA parte da lontano, il traguardo non è ancora in vista, ma più ci si avvicina e maggiori sono i rischi di finire sugli scogli, attirati su false rotte da sciacalli, finti profeti ed ingannevoli sirene.

Siamo da 15 anni nella rete mondiale della Million Marijuana March, una rete che ogni anno in maggio mobilita centinaia di città su una piattaforma condivisa di tre punti: fine delle persecuzioni, diritto all’uso terapeutico e diritto a coltivare liberamente una pianta che è un pezzo del patrimonio botanico del pianeta.

Nella scorsa edizione abbiamo coniato il termine “UMANOPOLIO”, il monopolio all’umanità come negazione del concetto di monopolio. Nessun monopolio quindi, ma Cannabis Bene Comune, da difendere dagli intenti monopolistici non solo delle mafie ma anche delle multinazionali soprattutto del tabacco e del farmaco, in aiuto delle quali sono giunte alcune associazioni antiproibizioniste dichiaratamente favorevoli ai monopoli.

In questa 15esima edizione intendiamo continuare sul percorso da sempre seguito, distante anni luce dalle logiche del profitto e della mercificazione dettata dal neoliberismo e inseguita dagli squali dei grossi capitali, che si avventano su quella che Giancarlo Arnao definiva “la mite piantina”.

Siamo allarmati dalla disinformazione sugli imponenti investimenti finanziari in atto sulla Cannabis in altri paesi del mondo, interpretati dai media nostrani come la fine del proibizionismo. Questa nuova corsa all’oro mascherata da legalizzazione mira ad imporre le stesse regole di mercato che hanno portato ovunque sfruttamento e omologazione, abbassamento della qualità e perdita di diritti.

Questo meccanismo appare evidente per esempio in Canada, dove le quasi 40 mila licenze inizialmente rilasciate ai cittadini in concessione governativa sono state ritirate per essere affidate in esclusiva ad alcune grandi società.

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Rapporto annuale della Direzione Antimafia

direzione-nazionale-antimafiaFonte:

“Davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro […] sia opportuna una depenalizzazione della materia”. La bomba la lancia la Direzione Nazionale Antimafia.

Il pool guidato da Franco Roberti ha presentato lo scorso 25 febbraio la sua relazione al Parlamento. Dietro la scrivania lo stesso procuratore generale, accompagnato dalla presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. Nel tomo, che consta di oltre 700 pagine, la svolta: l’ammissione del fallimento della repressione del mercato illegale di cannabinoidi e la secca apertura alla depenalizzazione del loro consumo.

Parole pesantissime, se considerato che non arrivano da chi ha sempre sostenuto con forza la necessità di liberalizzare e depenalizzare il consumo di marijuana&co. (vedi i Radicali) ma da chi è in prima linea nella battaglia quotidiana per far rispettare la normativa vigente. Una manciata di paginette, dalla 355 alla 360, che sono sfuggite alla maggior parte di coloro che hanno spulciato nel testo, ma che risultano esplosive.

La Dna sottolinea che il quantitativo sequestrato “è di almeno 10/20 volte inferiore a quello consumato”. Ci si trova, dunque, dinanzi a “un mercato che vende, approssimativamente, fra 1,5 e 3 milioni di Kg all’anno di cannabis”. Tradotto, sarebbero all’incirca 200 canne pro capite, anziani e giovanissimi compresi. Poi l’ammissione di sostanziale fallimento:

“Di fronte a numeri come quelli appena visti – e senza alcun pregiudizio ideologico, proibizionista o anti-proibizionista che sia – si ha il dovere di evidenziare a chi di dovere, che, oggettivamente, e nonostante il massimo sforzo profuso dal sistema nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi, si deve registrare il totale fallimento dell’azione repressiva”.

Il punto, sottolinea l’Antimafia, è che “il sistema repressivo ed investigativo nazionale, che questo Ufficio osserva da una posizione privilegiata, è nella letterale impossibilità di aumentare gli sforzi per reprimere meglio e di più la diffusione dei cannabinoidi”.

Insomma, “con le risorse attuali, non è né pensabile né auspicabile, non solo impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga inteso in senso globale”. La Dna spiega che se si volessero spostare risorse e uomini per contrastare l’uso di marijuana e affini, “di conseguenza rimarrebbero “scoperte” e prive di risposta investigativa altre emergenze criminali virulente, quali quelle rappresentate da criminalità di tipo mafioso, estorsioni, traffico di essere umani e di rifiuti, corruzione, ecc”.

Qual è la soluzione? La depenalizzazione. L’agenzia guidata da Roberti non lo fa capire tra le righe, ma lo dice chiaro e tondo:

“Davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo, in quanto parliamo di un mercato oramai unitario anche nel settore degli stupefacenti) sia opportuna una depenalizzazione della materia, tenendo conto del fatto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi, si dovranno tenere presenti, da una parte, le modalità e le misure concretamente (e non astrattamente) più idonee a garantire, anche in questo ambito, il diritto alla salute dei cittadini (specie dei minori) e, dall’altra, le ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell’ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite”.

Non solo. L’Antimafia equipara le droghe leggere a fumo e alcolici: “I dati statistici e quantitativi nudi e crudi, segnalano, in questo specifico ambito, l’affermarsi di un fenomeno oramai endemico, capillare e sviluppato ovunque, non dissimile, quanto a radicamento e diffusione sociale, a quello del consumo di sostanze lecite (ma, il cui abuso può del pari essere nocivo) quali tabacco ed alcool”.

Sarebbe dunque un harakiri “spostare risorse all’interno del medesimo fronte, vale a dire dal contrasto al traffico delle (letali) droghe pesanti al contrasto al traffico di droghe leggere”. La soluzione? Depenalizzarle. E no, non lo dice il solito Marco Pannella. Parole, nero su bianco, di una delle più alte e stimate autorità indipendenti dello stato italiano.


Il governo e “Big Marijuana” colludono per stroncare l’industria medica della marijuana

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Fonte: The Free Thought Project.com

Lo storico voto (I-502) nello stato di Washington che legalizza l’uso della marijuana ricreativa, è stata una grande vittoria per la libertà. Ma non va tutto bene sul fronte occidentale.

Il difensore civico della città di Seattle, Pete Holmes, sta spingendo per stroncare l’industria della marijuana medica che esiste a Washington da 16 anni. Holmes vuole portare tutte le vendite di marijuana, ricreative e medicinali, in un unico sistema così da poter imporre pesanti tasse sui malati e criminalizzare i fornitori di marijuana medica.
Il Tavolo di Controllo degli Alcolici (il Liquor Control Board, LCB) di Washington sarebbe l’attore di questo racket. Attualmente, la marijuana medica è soggetta a imposte sulle vendite di circa il 9 per cento, proprio come i farmaci da banco. Se Holmes e l’LCB riuscissero nel loro intento, la marijuana medica verrebbe tassata a un tasso effettivo del 44 per cento (una “tassa del peccato”, sin tax in inglese, applicata a generi o attività che non sono ritenuti essenziali nella vita quali il tabacco, l’alcol o il gioco d’azzardo), lo stesso della marijuana ricreativa.

Non possono sopportare il pensiero che un qualsiasi tipo di marijuana possa essere venduta senza subire “estorsione” da parte delle autorità.
I fautori stanno cercando di chiudere dispensari della marijuana medica abolendo gli “orti collettivi.”
“Gli orti collettivi sono generalmente amministrati dai pazienti per i pazienti, con la più grande preoccupazione per la salute e il benessere dei soci su base no-profit, dove i pazienti cercano di ottenere il farmaco con la più di alta qualità al minor costo possibile. La coltivazione collettiva rappresenta una rete chiusa di produzione e di accesso che vieta la deviazione o la distribuzione verso fonti o destinatari non-medici. Gli orti collettivi devono mantenere la legittimità delle loro operazioni e di chi vi appartiene”. Continue reading


La più probabile causa della dipendenza è stata scoperta – e non è ciò che credete

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Questo blog è stato pubblicato originariamente su Huffington Post United States ed è stato tradotto dall’inglese all’italiano da Stefano Pitrelli.
 Sono ormai passati cent’anni da quando le droghe sono state proibite per la prima volta – e nel corso di questo lungo secolo di guerra alla droga, i nostri insegnanti e i governi ci hanno raccontato una storia sulla dipendenza. Una storia tanto radicata nelle nostre menti che la diamo per assodata. Pare ovvia. Sembra palesemente vera. Lo credevo anch’io, fino a quando tre anni e mezzo fa non mi sono imbarcato in un viaggio di 30mila miglia per lavorare al mio nuovo libro, Chasing The Scream: The First And Last Days of the War on Drugs, alla scoperta di ciò che c’è veramente dietro alla guerra alla droga. Ciò che ho imparato lungo la mia strada è che quasi tutto ciò che c’è stato raccontato sulla dipendenza è sbagliato – e che di storia ne esiste un’altra, molto diversa, che aspetta ancora d’esser raccontata, se solo saremo disposti ad ascoltarla.

Se faremo nostra questa nuova storia ci toccherà cambiare non solo la guerra alla droga. Dovremo cambiare noi stessi.

Ciò che ho imparato l’ho appreso da un mucchio di persone straordinariamente diverse che ho incontrato lungo i miei viaggi. Dagli amici ancora vivi di Billie Holiday, da cui ho scoperto che il fondatore della guerra alla droga l’aveva perseguitata, contribuendo alla sua morte. Da un dottore ebreo portato di nascosto via dal ghetto di Budapest quand’era piccolo, per poi scoprire da adulto i segreti della dipendenza. Da un trafficante transessuale di crack a Brooklyn, concepito quando la madre, dipendente dal crack, fu stuprata dal padre, un agente della polizia di New York. Da un uomo che è stato relegato in fondo a un pozzo per due anni da una dittatura dedita alla tortura, per poi riemergerne e finire un giorno col venire eletto presidente dell’Uruguay, segnando così gli ultimi giorni della guerra alla droga.

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Torino, sì alla cannabis libera. E’ la prima tra le grandi città.

Immagine 004Fonte: Repubblica.it

Torino apre le porte alla cannabis, prima tra le grandi città d’Italia. Non che da oggi si possa consumare, produrre per il proprio uso e condividere tra amici la marijuana sul terrazzo di casa, come se si fosse a Montevideo o ad Amsterdam. Ma questo è il senso “politico” della richiesta, partita dalla Sala Rossa dopo il voto di ieri della Sala Rossa e indirizzata al Parlamento: “Passare da un impianto proibizionistico a uno di tipo legale della produzione e della distribuzione delle droghe leggere”. Il testo è quello partorito con un ordine del giorno proposto da Marco Grimaldi di Sel e dai consiglieri Silvio Viale, Luca Cassiani e Lucia Centillo del Pd.

Fino all’ultimo la legalizzazione in salsa torinese era in forse, sotto l’incognita del voto moderato e cattolico del Pd, mentre sembrava più possibile l’approvazione di una seconda mozione pro-cannabis che si limitava ad allargarne l’uso terapeutico. Alla fine il via libera è arrivato. Un po’ a sorpresa. Il Pd si è spaccato tra proibizionisti, astensionisti (tra questi anche il sindaco Fassino) e antiproibizionisti. Questi ultimi, per la verità, la maggior parte. Determinanti sono stati i voti favorevoli dei due Cinque stelle Chiara Appendino e Vittorio Bertola, aggiuntisi agli altri tredici consiglieri favorevoli del centrosinistra: oltre ai firmatari, Guido Alunno, Andrea Araldi, Mimmo Carretta, Gioacchino Cuntrò, Giusi La Ganga, Marta Levi, Laura Onofri, il capogruppo Michele Paolino e Beppe Sbriglio, ex Idv.

Grimaldi canta vittoria: “Torino è la prima grande città in Italia a pronunciarsi sull’abrogazione della legge Fini-Giovanardi e sulla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere – dice – Vogliamo mettere fine alle politiche proibizionistiche che hanno solo regalato ai narcotrafficanti centinaia di miliardi di euro, e togliere dall’illegalità centinaia di migliaia di cittadini”. Il radicale Silvio Viale ricorda: “Già nel 1996 la Sala Rossa aveva votato un ordine del giorno: sono passati 17 anni ma la politica ha fatto l’opposto, ipocritamente”. Continue reading


Parlare di droghe e dipendenze online: nuovi luoghi di cura per un’utenza che cambia

chiara-cicalaFonte: Anima online

Le nuove tecnologie di comunicazione si fanno sempre più strada nel campo degli interventi per i consumi di sostanze e le dipendenze, dove ci si confronta con un fenomeno in evoluzione che richiede innovazioni e riadeguamenti continui. In Italia si stanno affermando alcune esperienze interessanti, che incoraggiano a proseguire lungo la direzione tracciata. Tra le altre cose, si rivelano preziose per garantire risposte alle richieste e ai bisogni di chi, per motivi a volte molto diversi, non accede, o accede con difficoltà, ai servizi più tradizionali. Offrire informazioni e consulenza online aiuta anche a limitare quel timore dello stigma, che non di rado contribuisce a tenere alcuni consumatori lontani dai servizi. 

Preciso che, quando parlo di interventi per  i consumi di droghe e le dipendenze, faccio riferimento ai servizi pubblici, quindi ai SerT (le strutture del SSN che erogano prestazioni gratuite per il trattamento, la prevenzione e la riabilitazione delle tossicodipendenze e del gioco d’azzardo patologico) ma, ancora di più, a un sistema di servizi per le dipendenze che, proprio grazie alle sue molte articolazioni, può rispondere a esigenze e bisogni complessi, diversificati e mutevoli. E infatti, da  molto tempo, nelle diverse realtà italiane, in quest’ottica di sistema pubblico si inaugurano progetti, servizi e interventi (spesso realizzati assieme al Terzo Settore) che vanno a integrarsi con quelli più noti e tradizionali come i SerT o gli Enti Accreditati quali le Comunità Terapeutiche.

Tra i tanti interventi indirizzati a un’utenza diversa da quella che si rivolge ai SerT, mi soffermo su due casi dove in particolare l’uso delle nuove tecnologie può offrire un supporto significativo. 

Il primo è rappresentato dagli interventi che raggiungono i consumatori di sostanze nei contesti del divertimento (feste, eventi musicali, discoteche, rave, ecc) e che anche in Italia vantano ormai una notevole esperienza. Sono complessi e richiedono alleanze con le diverse realtà del territorio, anche istituzionali. Équipe con formazione ed esperienza specifica allestiscono chill-out, offrono materiali informativi, strumenti per il consumo sicuro e per il sesso sicuro, counseling adeguato al contesto, a volte un primo soccorso in situazioni di emergenza. La gran parte delle persone raggiunte tramite questi interventi abitualmente non accede al SerT e, semplificando un po’, questo accade perché fa un consumo non dipendente e non così problematico da rendere opportuno un trattamento. Si tratta spesso di giovani, che usano molte e diverse sostanze, tra cui possono rientrare droghe “pesanti” come eroina e cocaina, ma facendone un uso complessivamente compatibile con il mantenimento di spazi prioritari per gli studi, il lavoro, lo sport, i legami affettivi, ecc. Ciò non significa che non corrano rischi, e gli interventi nei contesti del divertimento mirano proprio a prevenire e ridurre i rischi specifici di questi modelli di consumo di sostanze. Ad esempio, i rischi connessi: ai mix tra droghe, all’uso in contesti insicuri, alla guida sotto effetto di alcol e stupefacenti, all’illegalità, al consumo di sostanze di cui si ha poca esperienza e di cui non si conosce la reale composizione e così via.  Continue reading


La sfida di Encod: considerate le droghe seriamente!

jankoatun-ced01Quando gli storici affronteranno l’evoluzione delle politiche sulle droghe del 21mo secolo, ciò che maggiormente li disorienterà sarà la domanda: ”Cosa ha impedito per così tanto tempo alla comunità internazionale di abolire le tre convenzioni internazionali sui narcotici?” A una crescente maggioranza di cittadini del mondo è chiaro come la criminalizzazione delle sostanze – che certe persone hanno usato per secoli – costituisce un errore storico cui si deve porre rimedio il più presto possibile. Il tentativo di regolamentare tale problema – che essenzialmente è un problema sociale – con interventi di polizia, costituisce un totale e assoluto fallimento. Questa è la corretta tendenza dell’opinione pubblica, in tutto il mondo.

La soluzione è semplice, lampante, e viene attuata unilateralmente, nel momento in cui stiamo parlando, da stati membri che vanno dal Portogallo al Canada: la regolazione da parte di singoli stati. Il ritardo nell’implementazione di questa inevitabile soluzione a livello internazionale sta avendo, ogni giorno nel mondo, disastrose implicazioni sulla sicurezza pubblica. La violenza connessa con le droghe illegali uccide un quarto di milione di persone l’anno: questa dimensione è peggiore del danno causato dalla più pericolosa delle droghe. La causa di ciò sono leggi talmente inefficaci e controproducenti che, nel mondo, le comunità non le stanno più sostenendo.

In questo momento, l’Uruguay e quattro stati degli Stati Uniti hanno votato per legalizzare la cannabis. Prima della Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGASS) del 2016, tale numero sarà cresciuto in maniera significativa: solo negli Stati Uniti. I sondaggi mostrano come i cittadini, per lo meno di una mezza dozzina di stati, voteranno per regolamentare la cannabis. Il Presidente del Messico, Enrique Peña, ha dichiarato lo scorso mese che l’effetto valanga spingerà verso un’ulteriore regolamentazione in America Latina. E lui dovrebbe esserne contento. Negli stati e nelle nazioni che hanno legalizzato la cannabis e/o decriminalizzato le droghe, il crimine , la violenza e i tassi di uso da parte dei giovani sono tutti calati, mentre le entrate fiscali sono state strappate dalle mani dei criminali. Continue reading


Su Report si ventila un ritorno ai lavori forzati

Lavori forzati donneFonte: Il Fatto Quotidiano

di Susanna Marietti (Antigone)

Ci sono poche cose che conosco a fondo e sulle quali ho competenza, come credo capiti più o meno a ciascuno di noi. Sulle altre sono costretta a seguire le inchieste giornalistiche con maggiore passività, e spesso finisco per non sapere a chi dare ragione. Accade che ogni volta che guardo una puntata di Report su un argomento che conosco bene scopro una trasmissione realizzata con tesi assertorie, lontane dal livello di civiltà giuridica che vorrei in questo Paese, con la controparte ridicolizzata e privata di parola. Mi è successo ieri sera, davanti alla puntata di Report che proponeva il lavoro obbligatorio per i detenuti.

Innanzitutto va detto che, storicamente, i primi a contestare il lavoro gratuito dei detenuti sono sempre stati i lavoratori liberi. Infatti, chiunque preferirebbe assumere al loro posto un detenuto che non deve pagare. Tentare di mettere in competizione le brave persone che faticano a trovare lavoro e i detenuti che addirittura pretendono lo stipendio per lavorare è di certo strumentale. La vera competizione si creerebbe davanti a un detenuto non retribuito, ben più conveniente di un cittadino libero per un datore di lavoro. Continue reading